Ravanare

Sveglia

Giulia Mondello

Giro la chiave nel quadro, il motore mormora. Lascio che si scaldi, mentre controllo di avere ogni cosa a portata di mano: le sigarette già girate, l’acqua, il cuscino perché quel sedile è ancora rotto e sempre scomodo – dannazione! Imposto il navigatore e accendo lo stereo. Uno di quegli ormai rarissimi sterei con la cassetta, che forse valgono molto più di quanto io non possa immaginare vista questa modaiola onnipresenza del retrò e del vintage. Imposto una delle playlist che spotify mi consiglia, voglio ancora scoprire qualcosa che non conosco e lo cerco qui, nella musica, proprio ora, proprio mentre sono in viaggio, seppure per tornare a casa.

Fuori il buio lascia spazio alle stelle. È una notte senza luna.

Ingrano la prima, subito la seconda, il motore inizia a spingere e mi chiede di andare avanti. Via la terza, ora scendo già quei tornanti, ingrano la quarta e in un attimo vado di nuovo verso casa, come ogni domenica. Mentre mi allontano dalla città e dalle luci accendo la mia sigaretta profumata.

Aspiro, mi concentro sulla guida canticchiando: “Marvin sang of the joy and pain he opened up our minds and I still can hear him say” – spotify fallisce, consigliandomi un brano che già conosco, in compenso nella versione che adoro. “Tra 300 metri, alla rotonda, prendi…” dannato navigatore, dannata me che non conosco (e riconosco) mai le strade.

Ormai viaggio spedita, divertendomi a scalare le marce della furgottina che borbotta tra queste curve. Non prendo l’autostrada, preferisco poter vedere qualcosa ancora un po’, anche solo per questo attimo in cui attraverso questo paese spezzato da questa strada, dove noi scorriamo veloci. Chissà come deve essere vivere dietro una di quelle finestre che si affacciano su questa strada che taglia in due questo paese così piccolo. Magari dietro c’è una vecchina seduta che guarda chi vive dall’altra parte, sognando malinconica aiutata dal rombo di quei motori che sfrecciano proprio lì sotto: quante vite, anche solo per una frazione di secondo, vengono rapite dai suoi occhi?

I miei ora vedono passare il cancello di un’elegante villa seguito da un viale alberato, poi via un’altra curva e di nuovo il buio. Sono lì che non penso quasi a nulla, godo delle sensazioni che questi due giorni hanno lasciato attaccate ai miei polpastrelli arrossati, alle mie cosce che si ostinano a soffrire gli incastri, ai miei capelli ricci che amano lasciarsi annodare dalla magnesite, ai piedi indolenziti, alle guance scaldate da un vento troppo freddo, alle mie labbra gonfie e ammorbidite. Sotto ai miei occhi passa una cascina gialla illuminata dai lampioni che ha dei buffi pinnacoletti a cono con una pallina in cima. Chissà da quando è qui, chissà quanti gatti hanno dato la caccia ai topi lì dentro, chissà se ha mai avuto una stalla o se dei mercanti ci hanno mai scaricato del pesce fresco. Quante vite scorrono, identiche e sconosciute tra loro? Per un attimo sono qui con me, un attimo dopo sono già solo un sogno. Quanta vita scorre così innocentemente distante, così innegabilmente vicina?

Scorro indispettita il dito sbattendo quasi la mano sullo schermo del telefono. Suona già la sveglia, già è di nuovo lunedì. Dormo altri dieci minuti, se dovessi andare lunga ho la sveglia di riserva (e anche la riserva della riserva).

Chiudo gli occhi, guardo ancora i profili così perfetti di quelle colline che si offrono al sole e diventano azzurre al tramonto, vedo ancora quelle foglie che nonostante l’inverno non vogliono staccarsi dai rami, vedo ancora la nebbia che ci lascia dimenticare la valle, la roccia grigia e marrone, sento ancora le dita stringere quella piccola tacca, il respiro farsi corto mentre mi scopro dentro a nuovi movimenti.

No. Oggi no. Oggi è già lunedì. La terza sveglia sta già suonando.

Quanta vita scorre quasi negandosi, inaccessibile e sconosciuta?

Mi alzo.

Oggi è già lunedì.

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