Ravanare

Il corso di alpinismo. Modulo II. La scalata da primo.

Eva Toschi

Sei a pochi metri dalla sosta, sotto di te il ghiacciaio che pian piano si sta ritirando.

Ti ritrovi appesa al barcaiolo che ti hanno fatto, perché non sei capace, perché proprio non ne hai idea.

I tuoi amici ti guardano con fare beffardo, e mentre ti sfili le scarpette e prendi fiato te lo chiedono.

Si, hai capito bene cosa ti hanno appena detto. Non te l’aspettavi, non ci avevi pensato, non l’avevi considerato.

Non riesci a dire né si né no, prendi il materiale che ti passano mossa come da inerzia.

Improvvisamente sei da prima, le corde ti pesano in mezzo alle gambe e già non vedi sotto di te l’ultima protezione che hai messo. Non è come in falesia, dove ogni metro che fai calcoli velocemente dove arriveresti in caso di caduta. Qui guardi solo in alto, e quelle due corde che ti pesano sono un’estensione di te, una sorta di cordone ombelicale che ti trasmette forza e energia.

E per 10, 15, 20 minuti – chi può dirlo con esattezza – sei solamente te e quella porzione di granito arancione. Scali, non ti sei mai sentita così leggera e perfetta e ogni movimento sembra pensato da qualcun’altro, qualcuno di bravo che ti muove gli arti come se fossi una marionetta.

La protezione successiva, quella dopo ancora, e infine la sosta ti balzano agli occhi come un pezzo di asfalto nascosto da un dosso. E poi ancora lo zaino e la corda dall’alto ti riportano alla normalità, e ricominci a sentire fatica e a dover pensare a dove vanno mani e piedi.

Poi di nuovo ricomincia la danza e senti una corrente ascensionale che ti porta verso l’alto.

Non sei te, non puoi essere te.

E infatti ti vedi dall’esterno, come se fosse un film, e tu ne sei solo lo spettatore.

Ogni appoggio che spingi è in realtà un pensiero, un ricordo, una preoccupazione. Ogni appoggio che spingi sei più lontana da terra e dalla vita che ti aspetta giù. Dalla gravità che ti tira giù.

Solo con la punta dei piedi hai schiacciato tutto quello che ti opprimeva. L’hai schiacciato così forte che si è disintegrato e quando ripasserai da lì non ne vedrai nemmeno l’ombra.

Arrivi dove non c’è nessuna conquista, nessuna vetta, ne eroi e vincitori. Lassù non è il tuo posto.

Da lassù puoi vedere il sole, il ghiaccio, la roccia, la neve, puoi sentire il vento.

Non sai già – ma forse lo percepisci – che la volta dopo vorrai di più, che per schiacciare giù tutto ci vorrà un appoggio più piccolo, un piede più incerto, una gamba tremolante.

Le ore ricominciano a essere di sessanta minuti e tu sei di nuovo nel presente, con il passato sulle spalle e il terreno che traballa incerto verso il futuro.

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