Ravanare

La nuova droga

Eva Toschi

Respiro a fatica mentre salgo verso queste montagne di cui non conosco il nome. C’è solo bianco e silenzio intorno a me.

Ah si, e poi ci sono il Pompo e Ricky. Pompo sale con le ciaspole e la tavola sullo zaino mentre dalla sua giacca fuoriesce musica reggae, mentre Ricky sta salendo come un capriolo e ormai per noi è solo un puntino.

Io sudo come un porco ma salgo ad un ritmo lento ma costante. È la discesa che mi preoccupa.

Come mi sono trovata qui? Me lo chiedo anche io, ma penso che più o meno sia andata così:

Ieri sera parlavo con il Pompo – uno snowboarder (si dice così?) argentino che sta a Livigno ormai da anni e che chiama tutti “Vecio”- sullo splendido fatto che il giorno seguente sarei stata libera e lui mi ha detto semplicemente “andiamo, so io dove farti fare fresca”. Stop. Appuntamento al carosello dove conosco anche Ricky. Il Pompo mi avrà vista sciare si e no una volta in pista ma ad un Riccardo perplesso sul dove mi avesse raccatta risponde “è brava vecio, tranquilo”.

E adesso eccomi qui, che mi ripeto le parole di Pompo come un mantra per convincermi che dovunque stiamo andando in qualche modo riuscirò a scendere.

Arriviamo in cresta e davanti a noi si aprono due valli innevate da lasciare senza fiato. Ma io tanto lo sono già.

Si parlava di questo canale a nord, intorno ai 45°, che per me non vuol dire nulla. Come dire ad uno che non ha mai scalato che andrà a fare una via di V obbligato. Spero solo che non sia troppo ripido.

Quando togliamo le pelli non riesco a vedere nemmeno dove dobbiamo scendere, vedo solo l’inizio del pendio abbracciato dalle montagne intorno.

Parte Pompo, grida come un bambino dalla gioia mentre surfa come un matto e traccia la prima linea. Arriva in fondo al canale ed ora è il mio turno. Così a secco? Manco uno scaldo?

Devo pisciare, e infatti mi abbasso i pantaloni e mi accovaccio (non troppo per non affaticare i quadricipiti che dovranno erogare) e la faccio in mezzo agli sci davanti ad un irremovibile Riccardo.

Parto e casco alla seconda curva, ma è solo per sciogliere la tensione, sono subito con le punte giù. Non mi sembra vero di riuscire a curvare così bene e le gambe vanno. Poi succede.

Si tratta di secondi. Nello sci è così e per me, abituata a scalare per ore, ho difficoltà a gestire un’esperienza così intensa che dura solo un minuto, forse meno.

Beh, succede che sono in una strettoia e la neve comincia a muoversi sotto di me e a superarmi. Mi paralizzo. So che è sbagliato, lo so su carta ma pecco d’inesperienza ed ho bisogno di ragionare un millesimo di secondo. Mi sposto e la neve sembra fermarsi. Sento il Pompo che in fondo alla valle grida qualcosa e mi sveglio: punte giù. Devi correre ragazza.

E allora scendo e inizio a godermi l’intensità di quei secondi, mi godo le 10 curve che faccio e vorrei non smettere mai.

Ric mi sorpassa e mi cade davanti. Recupero un suo sci e solo ora da ferma mi rendo conto che la gamba sinistra trema. Ma mi piego e continuo a scendere.

Finalmente capisco.

Capisco nel mio piccolo l’essenza di tutto questo. Della ricerca, della fatica, del pericolo, della sempre troppo breve discesa.

Smetterò mai di voler sperimentere nuove droghe?

Non vedo già l’ora di rifarlo.

Forse però la prossima volta sarà il caso di mettere lo scarpone destro in modalità ski. Sarà meglio.

 

 

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