Ravanare

La première fois

Eva Toschi

È notte fonda e sono sveglia nel letto del rifugio. Accanto a me i miei amici dormono profondamente.
Non ho idea di che ora sia, potrebbero essere le 2, le 3, io spero che siano quasi le 4 e che tra poco suoni la sveglia. Strano, io sono sempre l’ultima a svegliarsi, quella che rimanda la sveglia 10 volte, quella che starebbe a letto fino alle 12. Eppure sono sveglia e vigile e questa cosa mi manda ai matti perché so che oggi avrò bisogno di tutte le forze e che faticherò tanto. Sono sveglia ma non ne capisco il motivo: non sono ne’ preoccupata ne’ emozionata. Dovrei forse? È la prima volta che vado a fare una via in montagna, e per gradire Marco ha scelto un classicone di Sialouze, una via di una dozzina di tiri, spittata quanto basta ma da integrare, per lui una passeggiata, per me una via che dovrei scalare tranquillamente da seconda e che potrei pensare di tirare se me la sento. Non ho deciso niente, non ho nessuna velleità.
Ho solo voglia di andare ed ascoltare le mie sensazioni. Ho voglia di scoprire come reagirà la mia mente nel momento di non ritorno, quando puoi solo andare senza esitazione e senza voltarti indietro.
Credo che ci siano due modi di reagire di fronte al rischio e che questi siano innati dentro di noi: si può percepire il pericolo e bloccarsi, tremare ed essere schiacciati dalla paura; oppure si attiva una parte del cervello che ti fa andare avanti, consapevole ma concentrato e fluido. Credo che si entri in una sorta di stato di trance, in cui il pensiero non è più un macigno dentro la tua testa ma mente e corpo diventano un tutt’uno. Devo dirlo: dopo averlo provato, secondo me vivere quella sensazione è il motivo per andare in montagna, è quello che ti fa pregare i tuoi compagni per tirar su te la corda.

Finalmente suona la sveglia e in pochissimi minuti siamo già pronti.

Sull’approccio verso Sialouze si sente solo il rumore della notte che sta volgendo al termine. Niente cazzate a quest’ora, siamo ancora mezzi addormentati e ci trasciniamo verso la parete.

Le luci delle frontali degli altri sono come mille lucciole in una notte d’estate, e per un attimo riesci a dimenticare che sei su un giacciaio a 3000 mt, stanco ed assonnato. E non stai tornando da una serata in discoteca.

Cominciamo a pestar neve, e questo significa che siamo quasi arrivati. L’alba sta arrivando e il muro di granito si apre davanti a noi.

La parete è all’ombra e i primi tiri sono un incubo. Sono su un traverso facile, su marcio, e non riesco a togliere il friend dalla fessura. Ho l’acqua giacciata che mi si infila nella manica e non riesco a scastrarlo perchè sono in punta di piedi e non posso tirare altrimenti verrei via con lui. Proprio non ci riesco!!! Marco è in sosta non lontano da me e mi parla poco per non farmi perdere la pazienza. Io dal canto mio voglio sbrigarmi perchè abbiamo 10 tiri sopra di noi ma proprio non so cosa fare. Cambio i piedi, riprovo. Ricambio, riprovo. Niente. Sento il sapore delle lacrime arrivare in gola e le trattengo. Mi conosco bene, le emozioni escono fuori così, a fiotti. Finalmente la protezione esce intonsa, ingoio il groppone e andiamo avanti.

Siamo alti ormai, non ci siamo mai fermati perchè abbiamo una cordata sotto di noi che ci morde le chiappe. Io sono esausta, morta, finita. Ormai scalo con tutte le parti del corpo tranne la punta del piede che mi brucia come non mai. Mi sento svenire perchè per sbrigarci abbiamo mangiato un paio di bounty e qualche gelè e mentre scalo (sarebbe più coretto mi trascino verso l’alto) sento una presa che mi rimane in mano.

Cazzo avevo chiesto poco fa a Marco come si dicesse “Sasso” in francese ma mi ritrovo con una sbriciolata di cous cous granitico in mano e abbozzo un universale “rock” spaventata e mortificata. I ragazzi sotto di noi stanno bene, hanno visto e schivato ma io sono stanca e quando arrivo in sosta scoppio in lacrime.

E ridiamo, piango, mangiamo, beviamo e siamo pronti per l’ultimo tiro. Prima di partire Marco mi dice che quando si tende la corda devo cominciare a scalare e io non so bene di cosa stia parlando ma ho una vaga idea. Da quel momento la parola conserva non mi fa più pensare alle marmellate.

Mentre scalo immagino di non dover cadere ma il tiro da stanca è duro e allora strillo: << Sono in sicura?>>, <<Si, vai!>>. E allora raspo come un maiale tirando su tutto il tirabile e arrivo alla fine della lunghezza della corda e lo trovo seduto che mi recupera a braccio.

E’ buio e stiamo scendendo verso il rifugio. Le gambe sono molli e da ore ci stiamo sognano la famosa omelette del selè.

Ma era questo il sentiero?  a Marco sembra che stiamo scendendo troppo, io sono abbastanza sicura di riuscire a vedere un casotto che sembra proprio il rifugio. Lui è cecato e sostiene che in realtà siamo bassi e le luci sono quelle sopra di noi. Per me sono solo le stelle o la scia di un aereo, ma non contesto. Sono stanca e inesperta. Ritorniamo sui nostri passi, lui corre per cercare il sentiero, io mi trascino.

L’ho perso di vista da 20 minuti, la mia frontale è scarica, cammino al buio e ogni tanto l’accendo in modo che lui mi possa trovare. Urlo il suo nome ma non risponde. Il mio cervello è fuso come la mia frontale. Riesco ad accenderlo solo a tratti: voglio lasciarmi cadere a terra e dormire, poi mi faccio forza e continuo a camminare, strillo <<MARCOOOOOO>>, lui non mi risponde, cazzo penso che mi ha lasciata lì e mi demoralizzo, i passi si fanno piu corti, penso che al massimo tornerò su al bivacco dove stavano quei ragazzi francesi. E’ una giornata infinita e comincio davvero a pensare di dover aspettare l’alba per capirci qualcosa. La testa è tutto. Mi dico che stanchezza e fatica sono solo nella mia testa e che me la caverò alla grande, e dopo un secondo il corpo ha il sopravvento e ho voglia di sedermi e aspettare non so bene cosa.

Non mi è mai capitato di essere divisa da due umori così contrastanti. Sarà passata mezz’ora ma nella mia testa sono 5 e finalmente Marco mi risponde e corre verso di me. Mi lascio cadere a terra e lui mi raggiunge in un attimo. Scoppio in lacrime. <<Eva mi sa che avevi ragione, il sentiero era giusto, dobbiamo tornare indietro>>. E ancora una volta piango e rido. << Ok, però ti prego stammi vicino e non lasciarmi da sola>>. Sono tornata bambina. Pensavo di essere una donna forte e coraggiosa e invece la montagna mi ha fatto ragazzina. Non ho rischiato niente, non ho bivaccato, non ho aperto, non ho tirato. Ho solo passato una giornata che mi ha schiaffeggiato e messo davanti ad uno specchio.

Passiamo al Selè. La cena è finita da ore ormai, ma ci invitano in cucina, ci cucinano una deliziosa omelette,  ci offrono un bicchiere di pastis fatto in casa e a pancia piena ci rotoliamo giù verso la tenda. Sono le 2 di notte. 22 ore di vita vera. Mi aspetta una notte senza sogni.

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